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Luogo della rivelazione
Mecca
Correva «’am ul huzn», l’Anno della tristezza (619-620 d.C.). In soli tre giorni l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) aveva perso i due capisaldi della sua realtà affettiva e sociale, l’amatissima moglie Khadìja (che Allah sia soddisfatto di lei) e lo zio Abû Tàlib, capo del suo clan e suo protettore. Abù Lahab, suo zio paterno ma al contempo suo implacabile oppositore, era diventato il decano dei Bani Hâshim ed aveva fatto sì che Muhammad fosse isolato dal resto del clan. Senza protezione tribale, in quei tempi l’esistenza poteva essere molto difficile per chi si fosse messo in contrasto con la maggior parte dei notabili della città. Stretto in questa situazione l’Inviato di Allah tentò una missione rivolta agli abitanti di Ta’if, una città a un centinaio di chilometri dalla Mecca, sede del culto della dea al-Lat. Il risultato fu disastroso: respinto e ingiuriato, Muhammad (pace e benedizioni su di lui) corse gravi rischi per la sua incolumità e nel pieno dello sconforto pregò così il suo Signore: «Mi rifugio in Te, Signore, [afflitto] dalla mia debolezza e dalla mia impotenza. Tu sei il Dio dei deboli, Tu sei il mio Signore e il mio Dio. Mi abbandonerai a stranieri nemici? Se non ho suscitato il Tuo corruccio, non temo alcunché. Mi rifugio nella Luce del Tuo Volto che ha illuminato. Non c’è forza e non c’è potenza se non in te». Dopo che ebbe pronunciato questa invocazione scese in lui una ritrovata serenità, rinacque la speranza e, ottenuta una protezione tribale, rientrò alla Mecca scortato da Mut ‘im ibn ‘Adiy e dai membri del suo clan. Poco tempo dopo Allah (gloria a Lui l’Altissimo) gli diede un meraviglioso segno della Sua Benevolenza. La tradizione, ricchissima a questo proposito, ci riferisce che una notte, mentre Muhammad (pace e benedizioni su di lui) stava dormendo, fu svegliato da Gabriele (pace su di lui) e condotto a Gerusalemme. Colà, nel recinto del Masjid al Aqsà (la «Moschea remota» di cui al vers. 1), pregò Allah insieme ad Abramo, Mosè e Gesù e tutti gli altri profeti (pace su tutti loro) e poi ascese fino al «Sidrâtu- T -Muntahâ» (il Loto del Limite) che si trova alla destra del Trono di Allah.
Muhammad (pace e benedizioni su di lui) ebbe un colloquio con l’Altissimo che lo salutò con una frase che è entrata a far parte dell’orazione rituale: «Siano su di te la pace, o Profeta, la misericordia di Allah e le Sue benedizioni, e sia pace su tutti i Suoi servi devoti». Muhammad rispose allora con la professione di fede. Poi gli fu data conoscenza, dottrina, precetti morali e raccomandazioni per la sua missione. Inoltre, gli fu rivelato il vers. 285 della Sura della Giovenca che contiene la sintesi dottrinale dell’IsIàm. «Il Messaggero crede in quello che è stato fatto scendere su di lui da parte del suo Signore, come del resto i credenti: tutti credono in Allah, nei Suoi Angeli, nei Suoi Libri e nei Suoi Messaggeri. Non facciamo differenza alcuna tra i Suoi Messaggeri.» E dicono: «Abbiamo ascoltato e obbediamo. Perdono, Signore! È a Te che tutto ritorna» (Corano n, 285). Tra le norme ricevute c’era l’obbligo di compiere cinquanta orazioni ogni giorno. Su suggerimento di Mosè, Muhammad chiese all’Altissimo di alleggerire il precetto finché Allah lo ridusse alle cinque orazioni quotidiane.
Quando ritornò alla Mecca il racconto di questo viaggio miracoloso suscitò l’ilarità e lo scherno dei miscredenti e molti musulmani di debole fede dubitarono di lui.
In questo frangente il suo amico e futuro califfo Abù Bakr (che Allah sia soddisfatto di lui) dimostrò il livello della sua fede e la sincerità del suo affetto per l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) non dubitando nemmeno un istante della veridicità del racconto.
Un altro argomento che la sura cita ai verss. 4-7 e 104 è quello della profezia che si riferisce ai «Figli di Israele».
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